L’ ansia. Cosa accade nella nostra mente, nel nostro corpo e nel nostro cervello.

Quante volte parlando con un amico, un familiare ci siamo sentiti dire “Ho l’ansia!”?! Quante volte invece siamo stati noi a dirlo?! L’ansia è una delle emozioni ritenute più fastidiose e invalidanti. 

Molto spesso le persone iniziano un percorso psicoterapeutico proprio perché percepiscono la loro ansia ingestibile e si sentono sopraffatti da essa.

In questo articolo cercherò di sviscerare la natura dell’ansia, ciò che accade nella nostra mente, nel nostro corpo e nel nostro cervello quando proviamo quest’ emozione. Descriverò inoltre i motivi per cui a volte è così difficile “mandarla via”.

Cos’è un’emozione?

L’emozione è uno stato mentale transitorio e momentaneo, il quale consiste in una serie di modificazioni che avvengono sia a livello fisiologico che mentale.

Quando emerge l’emozione significa che è avvenuto un cambiamento nel mondo interno o esterno alla persona, percepito come saliente.

L’emozione è costituita da varie componenti:

componente cognitiva: è la valutazione che facciamo della situazione in atto, per es. valutare la presenza di un cane che mi insegue come un pericolo.

componente fisiologica: attivazione del Sistema Nervoso Centrale (SNC) che determina una serie di cambiamenti fisiologici, ad es. a tachicardia, sudorazione, tensione muscolare, etc.

componente espressivo motoria: le espressioni verbali e non verbali, es postura del corpo, il tono dell’eloquio ecc.

componente comportamentale: il comportamento conseguente all’emozione, per es. la fuga.


Le emozioni definite primarie o universali, sono quelle emozioni che provano tutti gli individui e si riconoscono anche solo dall’espressione del volto dell’altro, a prescindere dalla cultura. Queste emozioni sono: gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto e sorpresa.

Accanto a queste vi sono delle emozioni definite “secondarie”, le quali dipendono molto di più dal contesto sociale e tra queste troviamo: l’ansia, la vergogna, la delusione, la nostalgia, la gelosia.

Ansia e Paura: emozioni di allarme

L’ansia come la paura, l’angoscia, il terrore, sono emozioni di allarme. Ci ritroviamo a provare queste emozioni quando il nostro scopo (ad esempio “fare una bella figura”), viene messo in pericolo.

Più il nostro scopo è percepito come importante, più si attivano le emozioni di allarme.

Queste emozioni ci consentono di allertarci e di sopravvivere di fronte ad un pericolo e di fronteggiarlo.
Ansia e paura si distinguono per un aspetto fondamentale: l’immediatezza della minaccia.

Nella paura la minaccia è reale, presente, il pericolo è lì davanti ai nostri occhi ed il sistema si attiva in modo primitivo per consentire alla persona di “salvarsi”. Ad esempio proviamo paura quando ci troviamo di fronte ad un cane che ci ringhia.
La paura è una delle emozioni più automatiche, che poco necessita di un’elaborazione cognitiva.

Minaccia → Reazione. Stimolo → Risposta
Es. Cane che ringhia → Fuga

L’attivazione fisiologica nell’ansia è minore rispetto alla paura, poiché in quel momento il nostro corpo non deve fronteggiare un pericolo, mentre aumenta la produzione di pensieri su tutte le possibili conseguenze potenzialmente realizzabili della situazione temuta. Potenzialmente infinite.

Riprendendo l’esempio precedente una persona che ha timore dai cani proverà ansia andando in un parco con molti cani. Si sentirà tesa ed inizierà a pensare “e se si avvicinasse un cane? Oh Mio Dio, non so che cosa farei? E se dovesse attaccarmi?”.

Come vediamo in questo esempio la minaccia non è reale. Quindi, fin tanto che penso all’eventualità di incontrare un cane che ringhia proverò ansia, se invece il cane è presente e mi sta ringhiando realmente proverò paura.

L’ansia è un’emozione tipicamente umana, infatti nessun animale prova ansia.

Essendo essa un’emozione più complessa rispetto alla paura, necessita infatti di un sistema cognitivo complesso, come quello umano, in grado di effettuare ipotesi e possibili previsioni future.

L’ansia ci serve?

Tutte le emozioni sono utili, tutte le emozioni ci servono, anche quelle più sgradevoli e spiacevoli come l’ansia.

Poiché le emozioni si sono sviluppate con la nostra evoluzione e quindi con lo sviluppo del nostro cervello, esse hanno una funzione adattiva e ci consentono di sopravvivere.

Questo sicuramente è vero per le emozioni di base. Provare paura mi consente di attaccare, fuggire, o “congelarmi”, come fanno alcuni animali di fronte ai loro predatori. Provare rabbia mi consente di riconoscere un’ingiustizia che ho subito e usare le mie strategie per ristabilire i confini.

Ma anche le emozioni più complesse sono utili e fondamentali alla nostra sopravvivenza.

Poiché viviamo in una società complessa, il nostro sistema cognitivo attraverso queste emozioni ci consente di segnalare a noi stessi e agli altri il successo o il fallimento rispetto uno scopo che ci siamo preposti, in modo tale da agire di conseguenza.

L’ ansia non deve essere pensata come un’emozione negativa, anzi, essa è molto utile e ci aiuta a fronteggiare molte situazioni e a mobilitare le giuste risorse per affrontarle.

Yerkes e Dodson nel 1908 a seguito dei loro studi mostrano come una modesta attivazione adrenergica ( ovvero l’aumento del battito cardiaco, della pressione arteriosa, della vigilanza e di tutte le modificazioni corporee che ci consentono di “combattere o fuggire”) migliori le prestazioni.

Tuttavia, superato un certo livello di attivazione la performance inizia grandemente a peggiorare.

 

Quindi fin tanto che l’ansia è ad un livello ottimale anche la prestazione sarà ottimale. Se l’ansia è a un livello troppo basso anche la performance non sarà granché. Quando invece l’ansia va oltre ad una certa soglia ed è troppo elevata, la performance avrà dei risultati pessimi.

In parole più semplici se dovrò andare ad un colloquio di lavoro, un po’ di ansia mi è utile per essere più “pronto” e per affrontare bene quella performance. Se l’ansia è troppo bassa probabilmente non mobiliterò le giuste risorse per conquistare il mio futuro capo. Se invece l’ansia è eccessiva rischierò di tremare, essere troppo agitato e confuso per fare una bella impressione. Di conseguenza la mia prestazione risulterà fallimentare.

Quindi riprendendo il modello di Yerkes e Dodson potremmo dire in modo molto semplice che l’ansia ci serve in una misura funzionale, tale da consentirci a mobilitare le nostre risorse e affrontare la situazione in virtù del nostro scopo, come nel caso appena descritto: superare un colloquio di lavoro.

Ma nel momento in cui essa diventa eccessiva, andrà a contrastare la nostra capacità di funzionare bene nelle situazioni e di mobilitare le nostre risorse.

Quando l’ansia diventa disfunzionale

Cosa accade nella mente dell’ansioso

Se nella paura è minaccioso l’evento in sé, che si stà palesando, nell’ansia è minaccioso ciò che è imprevedibile e incontrollabile.

Il focus della persona ansiosa è concentrato sull’elemento di minaccia, tale che esso finisce per essere più grave e sproporzionato di come realmente si presenta.

A spaventare è tutto ciò che è ignoto e sconosciuto, nel mio sistema di credenze, nel mio modo di leggere il mondo; a spaventare è tutto ciò che è incontrollabile e imprevedibile.

La persona ansiosa quindi attraverso il proprio sistema di credenze (tutto ciò che crede su sé, gli altri e il mondo) finirà per sovrastimare i pericoli, non avendo una visione chiara e lucida della realtà.

   Schematizzando e cercando di andare sul pratico, quello che accade            è più o meno questo:

  • Situazione: es. importante esame universitario
  • Scopo: fare una bella figura
  • Parte un pensiero disfunzionale negativo rispetto ad una previsione futura “ e se farò una brutta figura all’esame?”
  • Risposta emozionale: ansia
  • Risposta somatica: agitazione psicomotoria, tensione muscolare, aumento del battito cardiaco ecc
  • Risposta Comportamentale: Evitamento = es. “Non ci vado” / Controllo = es. Rimugino, studio ossessivamente giorno e notte.

Non tutti coloro che devono affrontare, ad esempio un importante esame all’università, lo fanno con ansia estrema e utilizzando strategie e comportamenti disfunzionali. E ciò vale per qualsiasi altra situazione immaginabile.

Ciò che determina il mio livello di ansia dunque, non è tanto nella situazione, quanto piuttosto nel pensiero che utilizzo. Se di fronte ad una situazione inizierò a pensare “come farò a..? e se dovesse accadere che.. ? Oh Mio Dio non potrei sopportarlo…!” inevitabilmente inizierò a temere quella situazione. Inevitabilmente proverò un’ansia pervasiva e limitante.

 


Quindi cosa determina la mia ansia?

Sono i miei pensieri, i quali sono sostenuti dalle mie credenze, ovvero dal mio modo di vedere il mondo, gli altri e me stesso.

Se ho una rappresentazione di me stesso come adeguato solo a costo di fare bella figura e ottenere l’approvazione degli altri inevitabilmente affronterò ogni esame con ansia pervasiva ed intensa.

Questo meccanismo sta alla base di ogni disturbo d’ansia.

Cosa accade nel cervello e nel corpo.

Alla base del sistema di allarme c’è un piccolo organo a forma di mandorla facente parte del sistema limbico e situato nel lobo temporale del cervello: l’amigdala o meglio le amigdale, visto che sono due, una posizionata nell’emisfero destro, l’altra nel sinistro. Tuttavia è l’amigdala destra ad attivarsi maggiormente di fronte ad un’emozione intensa.

Il sistema limbico è una dei centri più antichi del nostro cervello. Le aree facenti parte di questo sistema si sono sviluppate precocemente nella storia dello sviluppo del cervello umano; esse regolano le funzioni essenziali per la sopravvivenza e sono gestite in modo automatico ed indipendentemente dalla nostra volontà.

La corteccia cerebrale si è sviluppata più recentemente nel corso dell’evoluzione, è grazie ad essa se riusciamo a pensare, riflettere, fare delle scelte e modulare le nostre azioni.   

L’amigdala è coinvolta nel circuito di elaborazione delle informazioni attraverso due percorsi o vie, come dimostrato da LeDoux nel 1996.

Attraverso la prima via (“via bassa”) gli stimoli esterni recepiti attraverso gli organi di senso (occhi, orecchie ecc) inviano l’informazione mediante impulsi elettrici all’amigdala, passando per i talami. Da qui nuovi impulsi elettrici o “comandi” vengono mandati dall’amigdala a cuore, polmoni, muscoli ecc.. per fare in modo che l’organismo sia pronto, preparato all’azione e ad esprimere l’emozione. Questa via comporta un’elaborazione molto rapida, essenziale per le risposte di attacco-fuga, ma poco accurata.

Per fare un esempio pratico, questa via è quella che si attiva quando sto camminando in un prato, scorgo per terra qualcosa di lungo e sottile e faccio un balzo indietro pensando che sia un serpente.

La seconda via (“via alta”) parte sempre dagli organi di senso (occhi, naso, orecchie ecc) che traducono gli stimoli esterni in impulsi elettrici da inviare ai talami, ma l’informazione una volta arrivata ai talami, non viene passata direttamente all’amigdala, ma alla corteccia, in modo tale da effettuare un’elaborazione più accurata. Solo dopo che l’informazione è stata elaborata dalla corteccia viene mandata all’amigdala che mobiliterà successivamente cuore, polmoni e muscoli per consentire all’organismo di reagire.

Questa seconda via è più lenta ma molto più accurata.

Questa via è quella che ci consente, dopo aver fatto un balzo indietro per la paura di aver visto un serpente, di guardare meglio, accorgersi che è solo un legno e tranquillizzarci . Dunque, in questo caso, la corteccia cerebrale ha individuato il falso allarme e ha modulato la risposta dell’amigdala.

L’amigdala si attiva quando proviamo tutte le emozioni di allarme, dunque anche l’ansia.

L’ansioso come abbiamo detto sovrastima i pericoli, quindi la sua amigdala sarà continuamente stimolata e sollecitata; essa diventerà dunque sempre più sensibile e reattiva, proprio perché il pericolo sta nella nostra immaginazione.

Prendendo come esempio l’ipocondria, ogni volta che un soggetto ipocondriaco percepisce un sintomo, ad esempio il mal di testa, lo valuterà come pericoloso dandogli dei significati come: “questo mal di testa sicuramente vuol dire che ho un tumore e che morirò”, anche se non vi sono evidenze che la causa del suo mal di testa sia un tumore.

Ogni volta che passa questo pensiero nella mente dell’ipocondriaco e che lui “controlla” il suo mal di testa, l’amigdala si attiverà e di conseguenza anche tutto il suo corpo si attiva. Quindi è come se il nostro cervello dicesse al corpo “ Ehi, sei in pericolo, devi attivarti per reagire e fare qualcosa”.

Quando in realtà, non c’è nessun pericolo immediato da dover fronteggiare.

Cosa mantiene l’ansia?

A mantenere l’ansia sono delle strategie fallimentari che la persona utilizza.

Tra queste strategie troviamo:

Evitamento: es. non presentarsi all’esame; evitare certi luoghi, situazioni.
Controllo: es. Rimuginare; controllare continuamente i sintomi come ad esempio fa l’ipocondriaco.
Pensieri: alcuni pensieri mantengono l’ansia, come il pensiero catastrofico. Ad esempio nel panico il pensiero di stare per morire non aiuta ad abbassare l’attivazione ed il panico stesso.

Al contrario di ciò che la persona crede queste strategie non aiutano né a gestire né a ridurre l’ansia, poiché in tal modo non avviene mai un confronto diretto con l’ansia stessa. Anzi, essa diventa sempre più temuta.

La psicoterapia cognitivo comportamentale per i disturbi d’ansia

La psicoterapia cognitivo comportamentale è una delle terapie più efficaci nel trattamento dei disturbi di ansia. Il lavoro si focalizza sul sintomo e su tutto ciò che lo determina: pensieri, credenze, comportamenti.

Lo scopo dell’intervento terapeutico in psicoterapia cognitivo comportamentale è quello di ridurre i pensieri negativi e di ristrutturare le credenze disfunzionali che la persona ha su sé stessa e sul mondo, che stanno alla base dell’ansia.

Attraverso questo intervento viene inoltre rafforzata la seconda via di elaborazione del pericolo, ovvero quella più lenta ma accurata, riducendo allo stesso tempo l’ipersensibilità dell’amigdala. 

L’intervento si concentra inoltre sulla riduzione di quelle strategie che la persona utilizza pensando di “aiutarsi” e che invece mantengono l’ansia, come i controlli e gli evitamenti.

Essendo l’ansia un’emozione e come abbiamo detto, tutte le emozioni ci servono e sono utili, non possiamo eliminarla.

La psicoterapia cognitivo comportamentale consente alla persona di imparare a ridurla e gestirla, in modo tale che essa non interferisca più negativamente nella sua vita.

 

Bibliografia:

Sassaroli, S., Lorenzini, R., Ruggiero, G.M. (2015) “Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Rimuginio controllo ed evitamento”. Raffaello Cortina Editore.

LeDoux, J.E: (1996). “The Emotional Brain.” New York: Simon and Shuster.

Yerkes, R.M, Dodson, J.D. (1908). “The relation of strenght of stimulus to rapid of habit-formation” Journal of Comparative Neurology and Psychology.

 

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